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Il tempo in Seneca

La parte più originale della meditazione di Seneca è quella dove egli affronta il tema del significato dell’esistenza e come possiamo riscattarla dai condizionamenti imposti dalla società e dagli eventi esterni, che portano a una falsa valutazione delle cose. Il tema è affrontato nel “De brevitate vitae” e in altri dialoghi brevi. Seneca parte dalla considerazione che l’uomo non sfrutta il tempo che gli è stato dato a disposizione dalla sorte, perché  esso scorre senza che egli riesca a fermarlo, impegnato in occupazioni futili;l’uomo diventa oppresso dalla noia e dall’inquietudine, sempre ansioso in attesa di un incerto futuro. Il tempo e la vita acquistano il loro valore solo se rientriamo in noi stessi, con la meditazione e la ricerca di un tipo di esistenza coerente, che ci impegni nell’intimo e non nella superficie. Seneca approfondisce temi che già si trovavano in Lucrezio e nelle Epistole di Orazio, e delinea un ampio e impressionante quadro di quella che oggi chiameremmo società di massa o dei consumi, da cui l’individuo è condizionato. –In particolare, in tutto il De brevitate vitae assistiamo a una forte antitesi fra gli occupati e il sapiens. Da una parte la massa di affaccendati e dei perditempo dall’altra dramma delle vite non vissute e quella del saggio. A voler ben vedere, il dialogo sbocca in un invito  che è il senso ultimo dell’opera senecana: l’esortazione alla saggezza.Non bisogna lamentarsi che la vita è breve: in realtà sarebbe lunga, sono gli uomini che la rendono breve in quanto la riempiono di assurde passioni e di attività inutili che fanno perdere il possesso di sé e dello scorrere del tempo. Seneca dice:” la vita, a saperla usare, è lunga”. In questo modo vuole dire che la durata del tempo dipende solo da noi, da come noi lo utilizziamo e soprattutto da come non riusciamo a sprecarne un istante. Ma il filosofo si sofferma anche sul comportamento irrazionale degli uomini che sono avidi nei confronti dei beni materiali e sperperano il tempo, non sapendo che si tratta dell’unico bene non reintegrabile. Si tratta di un detrimentum latens, ossia una perdita di tempo non avvertita, perché legata alla natura immateriale del tempo. Ed è qui che Seneca paragona il tempo non a un fiume, ma ad un torrente, di quelli che scorrono a intermittenza, e al quale perciò bisogna attingere in fretta e al volo. Questo spreco inavvertito contribuisce il continuo rinvio al domani di ogni retta intenzione: così, affidandosi a un futuro non certo, si finisce per perdere il bene certo del presente che è l’unico tempo a disposizione dell’uomo per realizzare il perfezionamento di sé, vero scopo della vita. Questo è un tema molto vicino al “carpe diem” oraziano, ma lo scopo è diverso. Infatti Seneca dice che l’uomo deve essere padrone del proprio tempo perché si pensa alla morte come a qualcosa di molto lontano da noi, e che perciò non ci riguarda. Questo è un errore di valutazione: noi, in realtà, abbiamo già avuto un’esperienza reale della morte con la nostra vita passata che si trova già in  suo potere. Invece gli uomini vivono paradossalmente come se dovessero vivere per sempre, ma nel continuo timore della morte; il problema è sempre dato dalla ,mancanza di autocoscienza e l’incapacità di valutare correttamente le cose, attribuendo loro il giusto valore. La valorizzazione attenta di ogni attimo dell'esistenza è il mezzo attraverso il quale è possibile raggiungere la saggezza e superare la debole condizione umana. . Padroneggiare il presente ed affrancarsi al domani diventa in Seneca un invito al possesso integrale di sé stessi, non solo e non tanto, quindi, un richiamo al carattere proprio dell'esistenza.

 

Federico Di Tullio

il tempo in seneca

“abbiamo 2 vite: la seconda inizia quando ci accorgiamo di averne una sola.’’      (Confucio)

In una vita piena di impegni ed obbiettivi di posticipare, in un certo senso, quel senso di completezza e  appagatezza  che noi indichiamo con il nome di felicità. Concepiamo tutto ciò come un punto di arrivo posto oltre delle tappe che dobbiamo affrontare nella vita di tutti i giorni: scuola, università, lavoro, famiglia. Tappe fondamentali che, nell’ immaginario collettivo portano a quella che, alla fine di una lunga vita, la felicità vera e propria.

Passiamo la nostra infanzia ad aspettare di diventare grandi, la nostra adolescenza a studiare in modo di avere in futuro un’occupazione lavoriamo per farci una famiglia e così via all’infinito ponendoci il punto d’arrivo finale, quello dove il premio è la felicità, sempre più lontano.

Non rendendoci conto che non ci è data una seconda chance di vivere questa vita.

In fondo siamo tutti degli Icaro,  che sbattendo vorticosamente le nostre ali di cera e piume ci avviciniamo al sole , bruciando le nostre appendici alate e, nel momento antecedente allo schianto ci rendiamo conto che la vera conquista non è arrivare fino al sole ma volare.

 

“tutta la diversità umana è il prodotto della varietà quasi infinita delle combinazioni di geni.”

Noi tutti siamo formati dalla stessa polvere cromosomica, nessuno di noi possiede un solo granello che possa rivendicare come suo. È il nostro insieme che ci appartiene e ci fa nostri: noi siamo un mosaico originale di elementi banali.

                                                                                                                                                          (Jean Rostand)

La diversità quella con la D maiuscola è un tema così astratto, quasi banale ma anche così presente nelle nostre vite , un concetto, un semplice concetto, che ha causato morte e distruzione, condizionando tutto nella nostra vita, dalla macrostoria alla geopolitica, fino ai comportamenti che noi assumiamo, ogni giorno, nel nostro piccolo grande universo privato.

Ciò che ci viene più naturale quando conosciamo qualcuno è quello di giudicare quanto egli sia conforme ai nostri standard di normalità e quanto invece se ne discosti essendo, secondo i nostri parametri, questo DIVERSO.

Diverso nel modo  di porsi, di parlare, di vestire, ma anche nel colore della pelle, nel paese e nella cultura d’appartenenza.

Il nostro giudizio morale riguardo ad una persona dovrebbe essere scarno di questi pregiudizi perentori, che dovrebbero essere considerati obsoleti nel 2017 e che invece sono tuttora molto attuali, attualissimi, intasando il nostro cervello e il nostro cuore .

La diversità non è altro che un paletto immaginario, un metro di discriminazione, un ulteriore criterio di classificazione in questa società  già inglobata in precisi schemi da cui non se ne può uscire e se lo si fa  si deve essere consapevoli  dei propri proprio rischi e pericoli, perché al di fuori del proprio posto, al di fuori del proprio box classificatorio, si è soli.

Siria Tamburlani

abbiamo due vite

LA  MIA ESPERIENZA AL CENTRO

(SPRAR)

Non so raccontare esattamente quello che il centro è per me. È sempre stato un tabù per me esprimere le mie sensazioni, i miei pareri, i miei giudizi o in generale espormi in alcun modo; posso dire però che quest’esperienza è stata per me così giusta, ha  viaggiato su binari così affini alle mie inclinazioni così naturale che non la riterrei un esperienza da raccontare in un tema ma un qualcosa di insito nella vita di tutti i giorni, speciale sì, ma nella sua semplicità .

L’esperienza fin dal primo momento mi ha affascinata e  emozionata, sentivo che era una cosa che mi interessava –l’immigrazione, soprattutto l’accoglienza e le sue dinamiche è una tematica che mi affascina da qualche anno- . Non sono mai stata incline ad essere entusiasta di qualcosa al primo colpo, forse perché ne razionalizzo ogni parte preparandomi ad ogni variabile, rovinandone l’impatto iniziale. Nonostante  tutto ciò ero partita raggiante per questo progetto , finalmente avevo trovato qualcosa che mi piaceva ed era perfino un progetto scolastico.

Superato il primo piacevole acchito però, la situazione si è  leggermente appesantita per me, principalmente perché ho dovuto affrontare il mio più grande ostacolo, infatti durante il progetto dovevo relazionarmi e confrontarmi con persone  che non conoscevo-e questo per me è sempre stato un grande problema, per di più i gap linguistici e culturali mi rendevano ancora più insicura.

Non so dire esattamente che emozioni ho provato nelle ore al centro, penso tutte quelle che un umano può provare e anche qualcuna in più, c’era la gioia vedendo Joseph correrci incontro, cera imbarazzo nell’ entrare in questo satellite della vita in cui sono abituata a vivere con un atmosfera e un tempo di rivoluzione diversi, c’era tristezza nella malinconia delle ragazze, negli occhi, nei segni sul corpo, avvolte mi sorprendevo cogliendo complicità, c’era rabbia e incomprensione ma anche voglia di mettersi in gioco, da entrambi i lati.

Ma traendo delle conclusioni veramente troppo premature per soli tre mesi di progetto posso dire che questa esperienza continua e  continuerà a piacermi e pian piano acquisirò sempre più confidenza e supererò tutti gli ostacoli.

Siria Tamburlani

la mia esperienza

I ricordi: i mattoni che costituiscono la nostra vita

I ricordi sono come le onde del mare, vanno e vengono; capricciosi e talvolta malevoli, ci riavvicinano a un momento del passato: una voce, un profumo, un suono, un momento segnato dalla tristezza o dall’allegria. Tutti siamo fatti di ricordi che ci determinano e ci costituiscono, essi sono le nostre radici e delineano ciò che siamo: esseri che sperimentano, crescono, maturano e apprendono. Sono immagini del passato che si archiviano nella memoria,  delle riproduzioni successive in un momento determinato, alle quali normalmente cerchiamo di dare un’interpretazione e che, spesso, sono legate a un certo carico emotivo. Questi due concetti, memoria ed emozione, sono così uniti che il semplice fatto di sentirci felici, spaventati o afflitti porta quasi sempre all’affioramento di un ricordo del passato: è una reazione affettiva che dimostra quanto peso hanno i ricordi sulla nostra personalità. A volte, però, i ricordi ci fanno anche soffrire. Può capitare che in un momento ci aggrappiamo troppo a un ricordo specifico e arriviamo al punto di allontanarci dalla realtà e dalle nostre responsabilità, cadendo per esempio in depressione o soffrendo una crisi nervosa. Il problema non è concentrarsi sul passato e ricordare: ciò che è preoccupante è vivere costantemente nel passato. Questo può sfociare in una paura del presente e delle sfide proprie della vita. Certo, aggrapparci al passato ci dà una sensazione di sicurezza perenne, ma dobbiamo renderci conto che questa non è una situazione né realistica né matura. I bei ricordi si utilizzano spesso in psicologia per creare connessioni con esperienze personali significative del nostro passato. Tutti gli avvenimenti con energia positiva che abbiamo vissuto in determinati momenti della nostra esistenza hanno il potere di ricaricarci di spirito buono nel presente. Il mistero che si nasconde dietro questo fatto è che i ricordi positivi si possono usare per potenziare le nostre risorse nel presente. Questo ci dimostra che spesso non siamo così lontani da dove vogliamo arrivare, che dentro di noi custodiamo già buona parte della soluzione nel nostro baule delle esperienze. Possiamo anche imparare a rivivere i nostri ricordi piacevoli e così trarre beneficio dagli effetti positivi che  sono in grado di farci rivivere una situazione che ci ha soddisfatti, emozionati e motivati. E ancora, se evochiamo dei bei ricordi in modo continuato per aiutarci a fortificare le nostre attuali risorse per affrontare la vita, possiamo dar vita a un sistema autosostentato di protezione e benessere. Tanto più ci concentriamo sulle cose belle successeci nella vita, più ricarichiamo le nostre batterie di energia positiva. Quest’energia non solo ci fa sentire bene, ma aumenta anche le possibilità di reagire più ottimisticamente di fronte a degli eventi negativi. Si può quindi concludere dicendo che, nonostante sia vero che non possiamo vivere di ricordi, essi ci aiutano a vivere.

Federico Di Tullio

i ricordi

Riflessioni intorno alla diversità

 

“In natura, praticamente non c’è nulla che non sia diverso da tutto il resto e che non tragga la sua identità proprio dalla sua diversità, al punto che destano più stupore due entità perfettamente identiche – due gemelli, due alberi, due barboncini – che non due entità profondamente diverse tra loro. Mentre la diversità rappresenta la condizione normale della natura, l’uguaglianza è una costruzione sociale della cultura che ha stentato ad affermarsi e che ancora oggi non è universalmente riconosciuta e praticata” così Domenico De Masi introduce una sua riflessione sulla diversità; ma cos’è la diversità? È un qualcosa che spaventa, che può stupire o deludere, un qualcosa di nuovo, che esce fuori dagli schemi sociali, che esce fuori da un’idea, la modifica, la rende semplicemente diversa, diversa da come lo era prima, da come era stata pensata, diversa da tutte le altre e, per questo, anche unica.

La diversità è propria dell’uomo e dei suoi bisogni: il bisogno di essere unico, di avere un proprio pensiero, un proprio corpo, una propria forma, una propria esistenza. L’uguaglianza, invece, è una regola formale imposta dalla società per controllare meglio gli individui che vivono insieme nello stesso Paese o Nazione.

Ed è qui che si nota la lotta tra la natura e l’uomo, il quale la combatte continuamente trascurando il fatto che egli stesso è la natura e questa lotta contro se stesso è impari perché nessuno può vincere, ma solo perdere, perché per essere felici bisogna avere gratitudine per se stessi e per la propria vita.

L’oscurità più profonda e inconscia dell’uomo fa scaturire le guerre tra gli uomini diversi tra loro: bianchi e neri, sud e nord, una cultura ed un’altra.

Tutti i popoli sono diversi, ma ciò non significa che devono anche essere divisi. Siamo uomini perché abbiamo un’anima, dei sentimenti, emozioni, desideri, voglia di conoscere il mistero dietro la vita e la morte e non potremmo desiderare di più della felicità, perché né i soldi, né i beni terreni e neanche i piaceri carnali più intensi possono partecipare alla nostra completa realizzazione come può farlo una sana e duratura felicità, dipesa solo dal nostro sforzo di perseguire la pace e creare valore nella nostra vita e quindi nel mondo.

 

Davide Asci

riflessione intorno alla diversità

Ipazia, martire della conoscenza


Nel 930 d.C la Chiesa non aveva più ostacoli di fronte a sé: l’impero Romano era un impero cristiano. Ad Alessandria tuttavia persisteva un barlume del sapere laico legato agli antichi dei pagani: Ipazia, filosofa neoplatonica, musicologa, scienziata, matematica e fisica, madre della scienza sperimentale.
Una donna che osava indossare il mantello dei filosofi e fare lezione su Platone e Aristotele, predicando la medicina a scapito delle donazioni in cambio di miracoli.
Su Ipazia e sull’intera umanità si abbattè la più grossa delle sventure: la Chiesa Cattolica; da quel momento le biblioteche, la scienza, il libero pensiero dovevano essere cancellati.
Alle donne doveva essere impedito l’accesso alla religione, alla scuola, all’arte e alla scienza.
Il massacro di Ipazia è descritto da Socrate Scolastico: Era il mese di marzo del 415, e correva la quaresima; un gruppo di cristiani ‘’dall’animo surriscaldato, guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d’accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. La spinsero giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatele la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli…’’
Il martirio che subì Ipazia segnò la fine della più importante comunità scientifica dell’umanità.

1: Dal 379 d.C, infatti, governava l’imperatore Flavio Teodosio. Fu l'ultimo imperatore a regnare su di un impero unificato e fece del Cristianesimo la religione unica e obbligatoria dell'Impero; per questo fu chiamato Teodosio il Grande dagli scrittori cristiani.

2: Le notizie della vita di Socrate sono poche, e sono ricavate dalla sua stessa opera. Nacque a Costantinopoli, presumibilmente intorno al 380, e qui avrebbe trascorso tutta la sua vita, anche se nulla esclude la possibilità che se ne sia allontanato.
Esercitò l'avvocatura a Costantinopoli; cita Elladio e Ammonio Grammatico come suoi γραμματικοί (maestri), che sarebbero stati cacciati dalla città dopo il 391 in quanto pagani. La data della sua morte si colloca tra il 439, l'ultimo anno di cui scrive, ed il 450, data della morte dell'imperatore TeodosioII, a cui fa sempre riferimento come ad un vivente.
L'unica opera di Socrate Scolastico conosciuta è la sua Historia ecclesiastica ("Storia ecclesiastica").

ipazia
autismo

IL NATALE IN ROMANIA

Le scuole italiane stanno diventando sempre più multi-etniche e, per noi italiani, la possibilità di trascorrere del tempo con ragazzi provenienti da altre parti del mondo è una grande fonte di arricchimento culturale. Ciò è possibile anche grazie al progetto di intercultura attuato dalla nostra scuola in continuo movimento.
In concomitanza con il periodo natalizio, scopriamo come si svolgono le festività in Romania: qui iniziano il 6 dicembre con la festa di San Nicola. La sera precedente i bambini puliscono le proprie scarpe e le posizionano vicino alla porta di casa. Durante la notte, mentre i bambini dormono, San Nicola entra nelle case e mette regali nelle scarpe di coloro che sono stati buoni e bastoni in quelle dei bambini cattivi. 
Un dolce tipico della gastronomia natalizia romena è il cozonac. Si tratta di una grande ciambella intrecciata la cui ricetta si tramanda di generazione in generazione e i cui ingredienti principali sono uva, farina, noci, latte, vaniglia e cannella.
Durante tutto il periodo natalizio, bambini e adulti, riuniti in piccoli cori, bussano alle porte delle case e intonano canti tradizionali, chiamati colindă, dal latino calendae.
Inoltre, a Capodanno è tradizione che si lanci il riso, in segno di prosperità per il nuovo anno.
Il 6 gennaio, giorno dell'Epifania, si celebra il Boboteaza, il battesimo di Gesù. È soprattutto una festa di buon auspicio; infatti in questa giornata i sacerdoti lanciano crocifissi nelle acque fredde dei fiumi e gli uomini nuotano per recuperarli. Si pensa che chi recupera il crocifisso sarà fortunato per tutto l'anno.
Auguri di buon Natale a tutti, anzi, come si dice in rumeno: Crăciun fericit!
Laura Cupellaro
con la partecipazione di Camelia Ignat

natale in romania
la libertà è espressione di se stessi

                                                            

                                  La sindrome di Asperger 

Voglio portare alla luce questa sindrome poco conosciuta o almeno poco considerata. Si tratta di un disturbo psicosociale, caratterizzato dalla difficoltà nell’interagire con il prossimo e da altri diversi sintomi tra i quali: insistenza nella monotonia, compromissione delle interazioni sociali, raggio ristretto di interessi, concentrazione limitata, limitata coordinazione motoria, vulnerabilità emotiva.

L’incapacità di gestire i cambiamenti, unita alla loro goffaggine e alle loro frequenti ossessioni in argomenti che spesso non interessano più di tanto, li rende stressati, vulnerabili e tristi emotivamente e li porta ad essere esclusi per il loro atteggiamento bizzarro.

Questa sindrome presenta molti sintomi e spesso non viene diagnosticata perché viene confusa con qualcos’altro come un disturbo dell’attenzione o problemi dell’umore perché spesso coloro che ne soffrono provano molta ansia.

Le persone affette da questa sindrome hanno però un’intelligenza normale o superiore alla media e infatti possono riuscire a condurre una vita normale, l’unico problema è che sono spesso incompresi e dato che spesso la sindrome non viene nemmeno diagnosticata nessuno tenta di migliorare la loro situazione, e quindi crescono incompresi e nel peggiore dei casi, soli.

Qui di seguito elencherò personaggi famosi con questa sindrome: Isaac Newton, Albert Einstein, Charles Robert Darwin, Wolfgang Amadeus Mozart, Alfred Joseph Hitchcock, Glenn Herbert Gould che è stato un pianista, compositore, clavicembalista e organista, ricordato soprattutto per le sue registrazioni di musiche di Bach, ma anche di Beethoven, Mozart e del repertorio pianistico del XX secolo.

Steven Allan Spielberg: è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense. Nikola Tesla :è stato un fisico, inventore e ingegnere serbo.  Satoshi Tajiri: è un informatico giapponese, è il creatore della serie di videogiochi Pokémon. Bertrand Arthur William Russell: è stato un filosofo, logico e matematico. Fu anche un autorevole esponente del movimento pacifista e un divulgatore della filosofia. In molti hanno guardato a Russell come a una sorta di profeta della vita creativa e razionale e al tempo stesso la sua posizione su molte questioni fu estremamente controversa.

Come potete vedere, tutti personaggi di spiccata intelligenza, anzi, alcuni di questi sono persone geniali. Chi ha questa sindrome infatti, ha problemi nel sociale ma la sua intelligenza è normale o anche geniale.

Esistono, infine, gruppi di supporto per persone con sindrome Asperger volti a favorire l'incontro e il confronto con altri che hanno problematiche simili, infatti si è riconosciuto che questa sindrome è più frequente di quanto ci si aspettasse, spesso trasmessa geneticamente ma di causa sconosciuta e altrettanto sconosciuto è il motivo per cui sia più frequente nei ragazzi che nelle ragazze.

Asia Yakoubi 4H

il legame inscindibile

Autismo:

Quando un cervello atipico cambia la realtà, un bambino se ne sta seduto su un’altalena in giardino. È giorno, o forse è notte, non importa. Intorno a lui altri bambini stanno giocando. Ma lui è lì, e gioca. Ed è felice. Sente l’aria che lo sfiora appena, sente il cambiamento, mentre oscilla. Avanti. E poi indietro. All’improvviso la maestra lo chiama. Lui si spaventa. Perché le parole pronunciate dalla maestra non sono parole, sono bolle, che lo vogliono raggiungere. E lo inseguono, lo rincorrono velocissime. E lui vorrebbe scappare, ma niente, loro sono fuori e sono dentro. Sono ovunque.

Lo stesso bambino, adesso, vorrebbe pensare il blu. Ma non ci riesce, perché la sua mente vuole pensare il nero. Ma lui, invece, vorrebbe pensare il blu. E allora inizia a girare su se stesso, veloce, sempre più veloce. Girando infatti riesce ad allontanare dalla sua mente il nero. E quando anche l’ultimo granello di nero, finalmente lo ha abbandonato, allora, in quel momento, si ferma. Ma poi riprende a girare dall’altra parte. Per pensare il blu, finalmente.  E non vorrebbe smettere di girare, perché fermarsi significa sentire il corpo, in un attimo, volare via. È difficile, poi, riprendere tutti i pezzettini che volano e ricomporsi.

Il bambino in questione adesso è un uomo, nato in india 27 anni fa, si chiama Tito Rajarshi Mukhopadhyay. È affetto da un grave disturbo dello spettro autistico, non parla, ma sua madre con grande forza di volontà gli ha insegnato a leggere e scrivere. Tito ha scritto diversi libri e molte poesie. Grazie a queste opere, si può entrare in un mondo diverso, un mondo dinamico e informe, in cui le parole volano e i corpi si dissolvono. Negli ultimi anni soprattutto, sempre più spesso si sente parlare di autismo, disturbo che colpisce un numero relativamente alto di bambini, e che implica deficit nelle interazioni sociali, nella comunicazione sia verbale che non verbale oltre che comportamenti o interessi stereotipati e ripetitivi. Molte ricerche hanno ipotizzato che il disturbo deriva da uno sviluppo atipico del cervello nella fase embrionale e nella prima infanzia, dovuto sia a fattori biologici e genetici, sia a fattori ambientali. Da un cervello atipico, si genera una mente atipica e di conseguenza una particolarissima esperienza del mondo, come Tito dimostra, raccontando attraverso ciò che scrive, la sua splendida realtà.

Tito dondola, gira su se stesso, urla, piange, non ascolta ciò che gli altri gli dicono. Ma lo fa, semplicemente, perché quelle azioni sono le più giuste da compiere in quel momento, nel suo mondo.

Chiara Borri

“Sondaggi e statistiche segnalano che i giovani non amano la lettura e che la praticano assai poco, al di fuori dell'obbligo scolastico. Perché leggere è utile ed importante, almeno nell'opinione della maggior parte degli adulti? A tuo parere, hanno ragione o torto? Sostieni le tue affermazioni con ragionamenti ed esempi.”

La libertà è espressione di se stessi

 

“Esistere significa poter scegliere; anzi, essere possibilità. Ma ciò non costituisce la ricchezza; bensì la miseria dell'uomo. La sua libertà di scelta non rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma. Infatti, egli si trova sempre di fronte all'alternativa di una possibilità che si e una possibilità che no senza possedere alcun criterio di scelta. E brancola nel buio, in una posizione instabile, nella permanente indecisione, senza riuscire ad orientare la propria vita, intenzionalmente, in un senso o nell'altro” (Kierkegaard).

È con Kierkegaard, alla metà dell'800, che l'esistenza diviene oggetto della filosofia stessa: con il filosofo assumono importanza i termini “scelta” e “angoscia”, poiché egli afferma che ciò che caratterizza la condizione umana è il trovarsi di fronte a scelte che, in quanto libere, sono “infondate”, quindi angoscianti. Quando l'individuo si accorge del carattere abissale della libertà sorge in lui l'angoscia, che non è solo un sentimento spiacevole, ma soprattutto la coscienza della propria libertà. Secondo lo scrittore irlandese George Bernard Shaw, “la libertà significa responsabilità: ecco perché molti la temono”; con questo termine, infatti, si intende racchiudere quella vastità di azioni umane scelte consapevolmente e responsabilmente, e in quanto tali libere. Per essere davvero libero, un uomo non deve sottrarsi all'autorità, che rappresenta il cardine della libertà di tutti gli individui che vivono all'interno di una stessa realtà sociale, ma deve conformarsi ad essa in modo indipendente, scevro da ogni forma di condizionamento esterno. Allo stesso modo, il filosofo tedesco Kant aveva trattato la tematica della moralità, introducendo per la prima volta il concetto di imperativo: la moralità dell'uomo non risiede nell'imperativo ipotetico, che prescrive il dovere dietro condizionamento esterno (“se vuoi allora devi”), ma in quello categorico, che prescrive il dovere per il dovere (“tu devi”). Soltanto in vista di questo imperativo morale l'uomo potrà essere davvero libero perché avrà maturato la coscienza di sé, ossia la consapevolezza di esistere come essere pensante e dotato di ragione; per usare le parole del filosofo Aristotele, “un animale razionale” (dalla Politica) che in quanto tale riesce ad utilizzare il “lume della ragione”, concetto tanto inneggiato dall'Illuminismo del XVIII secolo.

Ma se l'uomo è dotato di ragione e in quanto tale è in grado di fare le proprie scelte autonomamente e liberamente, come si spiega l'esistenza dell'autorità?

Completiamo quindi la citazione di Aristotele: “l'uomo è animale razionale e sociale”; ed è in vista di questa socialità che si inserisce l'importanza dell'esistenza dell'autorità. Il singolo uomo deve essere libero di fare le proprie scelte in vista di una finalità unica, ossia di ciò che è meglio per sé. Nella comunità, però, l'uomo non è solo ma interagisce con altri uomini che come tali hanno la sua stessa possibilità di scegliere per il proprio bene. La finalità però è diversa: tutti gli uomini vivono in una società e le loro scelte devono essere mirate a non distruggerla. Ma se gli uomini sono tutti diversi e sono tutti dotati della stessa libertà di scelta, come si può stabilire quale può essere la migliore per il bene collettivo?

Secondo il filosofo Hobbes, l'uomo è malvagio perché sceglie per se stesso, non per la comunità: se ogni uomo seguisse il proprio istinto, sarebbe la guerra di tutti contro tutti perché “l'uomo è lupo all'altro uomo” (homo homini lupus). Di qui l'importanza di una “mente superiore” che coordini tutte le altre: questo compito spetta all'autorità. Spesso questo concetto è stato frainteso nel corso della storia perché visto come costrizione della propria libertà e questo ha generato grandi tensioni e rivolte contro l'autorità (ne sono riprova le grandi rivoluzioni sociale del 1600-1700). Come diceva lo scrittore statunitense Ron Hubbard, però, “la libertà è per la gente onesta. L'uomo che non è onesto con se stesso non può essere libero: è la sua trappola”. Per vivere bene in società è necessario vivere bene con se stessi perché “chi non ama la solitudine non ama neppure la libertà, perchè si è liberi unicamente quando si è soli” (A. Shopenhauer). È in solitudine che l'uomo può sviluppare, infatti, l'imperativo categorico kantiano che sta alla base della moralità, elemento fondante di quella ambita e preziosa libertà che è alla base di ogni tipo di interazione umana, perché  la libertà è il potere di fare ciò che è bene, non ciò che piace.

 

Asia D’Uffizi

IL LEGAME INSCINDIBILE TRA VITA REALE E TEATRO

 

Molti di noi hanno dei segreti, molti di noi infatti indossano una maschera nella vita di tutti i giorni. La paura e l'insicurezza inducono l'uomo a recitare un ruolo, per aderire alle convenzioni sociali: è per questo che non si può conoscere fino in fondo l'altro.

C'è pertanto un legame inscindibile tra vita e teatro. 

L'uso della maschera fu un elemento essenziale per il teatro classico, greco e latino. L'attore la cambiava ogni volta che doveva interpretare un personaggio diverso. La sua faccia mutava, mutava la sua interpretazione, ma l'attore era sempre lo stesso. 

E proprio questo succede nella vita di tutti i giorni: cambiamo la nostra maschera a seconda di quello che vogliamo sembrare.

Proviamo a pensare se tutti non avessimo il timore di mostrarci per quello che realmente siamo, se tutti dicessimo sempre le cose come stanno; se fossimo così coraggiosi da ammettere proprio le nostre paure.

 

Quante volte abbiamo sorriso quando in realtà volevamo urlare incazzati contro il cielo?

Quante volte si fa finta di essere forti, mentre in realtà il nostro animo è un trapezista alle prime armi?

 

A differenza di un attore, la nostra maschera non si vede, perché è una maschera astratta, invisibile. Solo la notte conosce chi siamo veramente, solo la notte conosce quello che proviamo; perché di notte posiamo magicamente la nostra maschera, ci liberiamo dalla fatica di recitare, dalla fatica di fingere.

Di notte non abbiamo paura di mostrarci al mondo, un mondo che dorme, che non può vedere, un mondo che non può giudicare. E ogni notte ci prepariamo di nuovo a indossare l'indomani una nuova maschera, pronti di nuovo a recitare.

Ed ecco che l'esistenza diventa un inesorabile susseguirsi di spettacoli scanditi dalle notti, come fossero le quinte dove abbandonare il personaggio.

Così l'uomo diventa attore, e la vita un grande palcoscenico.

 

Guglielmo Corvi 4A

Dottore che sintomi ha la felicità?

 

La bellezza della lettura

 

“Sondaggi e statistiche segnalano che i giovani non amano la lettura e che la praticano assai poco, al di fuori dell'obbligo scolastico. Perché leggere è utile ed importante, almeno nell'opinione della maggior parte degli adulti? A tuo parere, hanno ragione o torto? Sostieni le tue affermazioni con ragionamenti ed esempi.” 

 

 

I giovani d'oggi purtroppo sono costantemente attirati dalle nuove tecnologie e hanno sempre una scusa per evitare di leggere un buon libro. In molti casi però, come ad esempio il mio, sono proprio le tecnologie e i siti internet che invogliano alla lettura. Ci sono diverse pagine sui social dedicate interamente alla lettura, libri e autori vengono pubblicizzati in modo da essere riscoperti anche in libreria. E' capitato anche a me, che fino a qualche anno fa odiavo leggere, non mi avvicinavo neanche ad un libro di barzellette per intenderci; ma un giorno visitai per caso una di queste pagine web, e mi innamorai letteralmente di alcune storie presentate, e da quel momento, ho sempre cercato nuovi libri da leggere e scoprire. E' stato anche grazie ad alcune mie conoscenze che ho intrapreso seriamente il mondo della lettura; perché è così, è un vero e proprio mondo, pieno di scoperte nuove e affascinanti dietro ogni racconto. Sempre di più mi rendo conto di quanto sia importante leggere, e di quanto sia giusto che gli adulti insistano su tutto ciò, perché se pur fastidiosi, hanno ragione; leggere fa maturare il pensiero, fa ragionare, riflettere e dà anche numerose nozioni lessicali, per esprimersi sempre meglio, il che non guasta mai. Di questi tempi è sempre più evidente la differenza tra i ragazzi che leggono e quelli che non aprono libro, e purtroppo quelli che prevalgono sono proprio questi ultimi. Per esperienza personale posso affermare che leggere cambia la vita, cambia in tutto, nel modo di pensare, di vedere le cose, ma soprattutto apre moltissime vie di discussione, gli uni con gli altri, e a mio avviso non c'è nulla di più bello che parlare delle emozioni e

riflessioni che suscitano un semplice libro.  

Il potere degli scrittori è immenso e stupendo al contempo, è come se avessero la capacità di farci entrare in un universo parallelo quando cominciamo a leggere una delle loro opere.

Da un po' di tempo a questa parte quando parlo con amici che mi dicono di odiare la lettura, racconto la mia esperienza, facendoli ragionare da un'altra prospettiva nella speranza di suscitare in loro e quella voglia e quell'interesse nel leggere come è accaduto a me, perché dobbiamo abituarci tutti a leggere di più. Inoltre, vorrei che i miei coetanei capissero che leggere non è solo importante, che non dobbiamo leggere per prendere il voto a scuola, leggere è davvero bello, una passione in cui non serve avere talento per portarla avanti, a leggere siamo capaci tutti, sta a noi decidere solo quando e dove, e

lasciare poi che la magia ci travolga.

Chiara Benincasa, 2°I

La depressione e come affrontarla

DOTTORE, CHE SINTOMI HA LA FELICITÀ?

 

L’uomo da sempre si chiede che cosa sia la felicità e forse continuerà a chiederselo per sempre. Alcuni credono che sia un concetto metafisico, oppure un sentimento, altri uno stile di vita, altri ancora un lungo e faticoso percorso. Molti filosofi, sociologi, psicologi hanno dedicato la loro intera esistenza allo studio della felicità  e alla ricerca di un percorso per raggiungerla, ma mai con grandi risultati.

Riguardo la felicità, purtroppo, ogni uomo sa poco o niente, magari sa di essere stato felice, di poter essere felice,  ma descrivere la felicità,  parlarne, è davvero ­- per ogni individuo - un’impresa da eroe.

In realtà la felicità è un po’ come una pietra finemente lavorata, ha tante piccole facce, tante diverse componenti, e anche tanti lati oscuri. L’uomo passa la sua intera vita alla ricerca di queste pietra preziosa, spende tante energie e tanto tempo in questa caccia al tesoro, senza sapere che quella pietra ogni uomo la possiede, la tiene stretta in mano senza saperlo. Ogni uomo, infatti, possiede la pietra della felicità,  ma da bambino riesce a sfruttarne i poteri spontaneamente, senza farsi domande, mentre quando è adulto perde la pietra e inizia, poi, a cercarla disperatamente fuori da sé stesso.

Osservando un bambino che ride, che apre un regalo, che rotola sull’erba, che corre,  si è sicuri dell’esistenza della felicità e si è sicuri che sia qualcosa di semplice,  alla portata di un bambino. I bambini sono felici quando Cappuccetto Rosso esce viva dalla pancia del lupo e anche quando il guardiacaccia decide di uccidere una lepre per risparmiare la vita di Biancaneve, ma poi questi bambini diventano adulti e perdono la capacità di sognare, di essere felici. Gli adulti, si sa, complicano sempre le cose: si trovano ad essere delle pedine sulla scacchiera della società, che impone ruoli rigidi, che costringe a rincorrere interessi e a lottare con la forza per emergere. In una situazione del genere, il rischio è di “dimenticare” di essere davvero sé stessi, di rispettare inclinazioni e libertà di ognuno: insomma gli adulti “dimenticano” di essere felici, non hanno tempo, non hanno voglia di fermarsi a contemplare le vittorie che hanno conquistato. Ogni cosa sembra essere troppo effimera, troppo fugace per meritare la loro felicità. “È per questo che la felicità autentica, adeguata, totale, sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso” 1. In effetti, ogni uomo si pone dei traguardi e si ripromette di essere felice quando li raggiungerà, ma poi trascorre tutta la vita a desiderare di meglio, a spingere sempre più lontano quei traguardi, e di conseguenza, la strada che conduce alla felicità si allunga progressivamente, diventando quasi impossibile da percorrere.

Alcuni credono che la felicità sia strettamente legata al benessere: se un uomo ha un buon tenore di vita, quindi un lavoro e un buon reddito,  allora è felice. I dati,  però, lo smentiscono: “la soddisfazione media riportata dagli europei era, nel 1992, praticamente come venti anni prima, a fronte di un considerevole aumento del reddito pro capite nello stesso periodo”2. La felicità è assolutamente altro.  E. Franceschini, sulle pagine de “La Repubblica”, riportando le parole del professore di Harvard Ben Shahar, scrive che “semplificare, e poi ricordare che frustrazione e paura sono sentimenti naturali, e avere la consapevolezza che la felicità dipende da come siamo dentro, e non dal nostro conto in banca!” 3 sono le linee-guida da seguire per iniziare ad intraprendere la lunga e tortuosa strada verso la felicità, insieme alla sincerità verso se stessi e alla capacità di accontentarsi delle piccole cose. Sicuramente questa strada non sarà in discesa e non mancheranno ostacoli da scavalcare, anzi sarà un percorso faticoso, perché dovrà essere scavato dentro il proprio essere, dentro se stessi poiché la felicità non è qualcosa di astratto e lontanissimo. La felicità è nelle nostre tasche, è una parte di noi, le nostre membra sono impregnate di felicità che è come un “batterio” buono, che aiuta l’organismo invece di farlo ammalare.

Ognuno dovrebbe imparare a guardarsi dentro, a conoscersi, perché solo così può nascere la meraviglia, la libertà,  e di conseguenza la felicità. Petrarca,  in una dei suoi splendidi versi, scrive: “Ciò che piace al mondo è breve sogno”: sono proprio questi brevi sogni, fugaci ed effimeri, le piccole cose che meravigliano l’uomo e il mondo intero, le scintille che accendono il fuoco della felicità.

 

CHIARA BORRI – 4H

 

Nota bibliografica:

  1. Z. Bauman, L’arte della vita, trad. italiana, Bari 2009 (Ed. originale 2008)

  2. M. Maggioni e M. Pellizzari, Alti e bassi dell’economia della felicità, La stampa, 12\5\2003

  3. E. Franceschini, La Repubblica, 20\4\2006

     

     

                                                                La depressione e come affrontarla

 

La depressione è ormai diffusa sopratutto nei giovani, ma anche molti adulti ne soffrono.

Ma come si può affrontare?

Una delle cose peggiori che una persona possa dire a qualcuno che soffre di depressione è "dai c'è chi sta peggio smettila di lagnarti!” Le persone che soffrono di depressione hanno spesso una scarsa autostima e frasi del genere non le aiutano per nulla.

Ci sono persone che non hanno voglia di portare il peso della sofferenza degli altri quindi, se un loro amico o conoscente è infelice, iniziano ad evitarlo finché quest’ultimo non si riprende.

Infatti solitamente si preferisce un amico ottimista, in forma, senza troppi problemi, e non si ha voglia di  stare con qualcuno che trasmetti sofferenza, può sembrare crudele, ma purtroppo questo avviene, inutile negarlo.

Quindi, due cose che non si devono assolutamente fare con delle persone depresse sono ignorarle e sperare che migliorino o dirgli di piantarla di lamentarsi, perché dicendogli ciò, non facciamo altro che farli sentire ancora peggio.

Di questi tempi, oltre alla psicoterapia, entrano in scena gli psicofarmaci. Ma sono davvero un bene?

Ora non intendo screditare gli psicofarmaci in quanto in alcuni casi sono proprio necessari, ma non sempre e molte volte le persone ne abusano per alleviare le proprie sofferenze. Ma come tutti i farmaci, anche gli psicofarmaci hanno effetti collaterali, come scombussolamento dell'appetito o del sonno. Ora si  parla anche di una certa "pasticca della felicità" la quale potrebbe aiutarci se si è vissuto traumi o spiacevoli esperienze.

Tutto ciò dovrebbe essere una cosa buona, ma in realtà mi spaventa. Riflettiamoci … Ma è davvero giusto?            E' giusto cancellare dei nostri ricordi, parte della nostra vita e della nostra storia?

Perché belli o brutti che siano, sono questi che hanno formato la nostra personalità e io non trovo giusto guarire così. Bisogna affrontare e superare quei ricordi e non tentare di eliminarli, solo così si potrà ottenere una vera e sana guarigione. Quando sapremo affrontare e guardare i mostri che abbiamo dentro, allora e solo allora potremo guarire, sentirci meglio e diventare più forti.

Quindi, se si soffre di depressione, non bisogna esitare nel chiedere aiuto. Le persone che vi vogliono bene vorranno senza dubbio aiutarvi e non bisogna certo vergognarsi nel soffrire di depressione, basta che riusciate a trovare ed affrontare la causa e, anche se può volerci molto, si può fare!

 

Asia Yakoubi 3H

LEGGERE OBBLIGO O PIACERE ?

 

"Leggere libri è come laurearsi continuamente" disse una volta Alain Elkan ed io non posso che essere d’accordo.

In effetti leggere è uno dei doni più belli che l’uomo possieda, è come un vento che porta lontano, come una macchina del tempo e, allo stesso modo, essere nella  mente di un "vecchio pazzo" piena di cose così straordinarie e meravigliose che NON possono essere vere ma si vorrebbe che lo fossero. Leggere eleva dal mondo reale a quello dell’impossibile.

I libri hanno un potere immenso, capace di influenzare stati d’animo, di far cambiare opinione al più testardo dei testardi, di fare innamorare, soffrire e gioire e, trascendendo tutto e tutti, un libro è un amico.

Ma leggendo, si possono fare anche viaggi nel mondo reale , con un atlante si può facilmente arrivare a Catmandù, a Sofia, fino ad arrivare ad Atene e, un attimo dopo, ecco il circolo polare artico!

Perché, come disse Umberto Eco : “Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita”, la propria! Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era  quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia , quando Leopardi ammirava l’infinito …

Perché la lettura è un’ immortalità all’ indietro.

Leggere non è un obbligo ma un privilegio che in molti ancora non apprezzano.

 

Siria Tamburlani 3F

Firenze

 

È impossibile esprimere cosa possa provare una persona guardando una città così affascinante come Firenze. Nelle mattine di primavera mentre cammino per le strade sento il canto degli uccellini e il profumo di cornetti appena sfornati nelle pasticcerie. Gli abitanti ancora dormono e nell'aria si diffonde un senso di pace e tranquillità mentre sola attraverso via de' Tornabuoni. 

Raggiungo Ponte Vecchio ed ecco lì all'orizzonte, dove il corso soave del fiume incontra l'azzurro del cielo, sorge uno spiraglio di sole creando le più svariate sfumature di colori. La luce irrompe nelle case, i negozi cominciano ad alzare le serrande e le voci inondano le vie. In una crepa del pavimento scorgo un fiorellino che solitario cresce, è di un colore indefinito tra l'oro del grano maturo e il bianco candido delle nuvole, questa è la dimostrazione che la natura è ovunque, basta soffermarsi ad ammirarla.

Qui tutto è possibile, ovunque sono circondata dall'arte, il miglior modo che ha un artista per rappresentare tutto ciò che è e per trasmettere le proprie sensazioni nel realizzare l'opera. La città inizia a popolarsi e la confusione rimbomba nelle mie orecchie, tra traffici di gente indaffarata o senza meta l'unico posto dove rifugiarmi è l'immenso giardino di Boboli. Lì dopo la lunga passeggiata pomeridiana la soddisfazione è enorme, il mio cuore si riempie di gioia e i miei occhi di stupore e meraviglia. 

Un grande squarcio di natura tra gli edifici cittadini è così che potremmo definirlo, con i suoi prati verdi, fiori variopinti e maestose fontane dall'acqua cristallina.  Salgo sempre più su, fino in cima, da lì non posso far altro che star ferma ed in silenzio ad ammirare il sole che tramonta su Firenze e i suoi artisti immortali.

 

Martina Guidaldi 3°A

 

La globalizzazione

La distribuzione delle risorse materiali e della ricchezza nelle varie parti della terra è sempre stata ineguale; la storia ha così prodotto un mondo sviluppato e opulento, che può permettersi di vivere nello spreco e un mondo che versa in condizioni difficili. L'attuale processo di globalizzazione ha promosso uno sviluppo poderoso del commercio mondiale, ha pure determinato nuovi squilibri. In questi ultimi decenni alcune regioni del sud del mondo hanno iniziato un cammino di sviluppo economico e di progresso, ma le differenze fra le aree del nord e quelle del sud sono andate crescendo, poiché queste sono alle prese con i problemi derivanti dalla fame.

 

Martina Guidaldi

 

 

 

 

De quibus rebus communiis

Cum semper necessariarum ad vitam divitiarumque in regionibus variis terrarum orbis semper erogatio impar fuerit, sic historia effecit homines auctos divitesque genitos esse, qui in dissipatione vivere possunt, contra alios, quibus vix ad omnes res faciendas vires suppetunt. Nunc negotia, quae communia sunt, ita faciunt ut tantum incrementum mercature totius orbis terrarum novarum quoque perturbationum causa sit. Intra hos decem annos aliquot regiones australes vectigalibus ceterisque publicis fructibus redundaverunt, sed inter septentrionales et australes regiones plurimum interest, quod fame partes australes laborent.

 

 

Mens sana in corpore sano

Petrus Mennea insignis Italicus athleta fuit; cum DCXXV pedes curreret, et fortes et invalidi vigilantes somniabant et laetitiā perfundebantur. Corpore exercito, Petro ad cognitionem studendum est cum is intellexisset se posse actiones utrasque facere. Lauream in Olympis victurus fuit, sic accidit ut eius constantia eum victoriam consecuta est. Mennea dictum:"mens sana in corpore sano" efficit; ars athletica exemplum vitae fuit et est.

 

Mente sana in corpo sano

Pietro Mennea è stato un grande atleta italiano; quando correva i 200 metri, sia gli abili sia gli invalidi sognavano ad occhi aperti ed erano riempiti di gioia. Dopo che il corpo era stato esercitato, Pietro doveva studiare per gli esami. Lui vedeva che poteva fare entrambe le attivitá. Aveva intenzione di vincere la corona d'alloro alle Olimpiadi, così accadde che la sua tenacia lo portò alla vittoria. Mennea realizza il detto: "mens sana in corpore sano"; l'atletica fu ed è una lezione di vita.

 

Adele Silvestri

 

 

 

Saltandi studium meum

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